venerdì , 19 Aprile 2024

Camminavo..

Camminavo, con le cuffie nelle orecchie, e aspettavo, a modo mio, di vederlo.
Camminavo, poi a un tratto, senza preavviso, il mondo mi crollò addosso. Tutto, niente e nessuno escluso, tutta la Terra e tutto il suo peso erano sopra di me.
Lorenzo parlava con una ragazza, forse di terza C, che indossava una gonna corta scozzese e una camicetta bianca. Abbassai lo sguardo sulla mia felpa nera. Inevitabilmente la mia mente iniziò a confrontarmi con lei. Eravamo alte circa uguali, anche lei con i capelli castani, il viso non lo vedevo… Certo, lei aveva una seconda abbondante mentre io fingevo di avere una prima; lei aveva l’età di Lorenzo, e io per lui ero solo una bambina; lei avrà avuto fantastiche qualità, magari sapeva suonare il clarinetto mentre copiava un’opera di Picasso… Avevo perso in partenza.
Mi appoggiai a una parete: le forze mi stavano abbandonando, le gambe mi tremavano. Iniziai a scivolare con la schiena contro il muro, fino a trovarmi seduta a terra, le ginocchia al petto. Negli occhi pioggia. Non qui, non ora, non davanti a tutta la scuola. Singhiozzai.Smettila mi dicevo, ma era inutile, come tentare di convincere il Sole a brillare la notte. Una lacrima, un’altra. Erano calde, sulle guance. Forse avrei potuto farle scorrere per sempre, forse avrebbero potuto scaldarmi il cuore, non solo il viso. Forse se avessi chiuso gli occhi il tempo sarebbe passato, lui se ne sarebbe andato e io sarei riuscita a rialzarmi, piú forte di prima.
Qualcosa mi distolse dai miei pensieri: una mano sulla spalla. Tentai di non girarmi, ma la curiosità fu troppo forte, e mi voltai. Fu così che vidi lui, alto, sorridente, quasi come se non avesse davanti una bruttissima me, con il mascara colato e i capelli davanti agli occhi, quasi come se non fossimo circondati da una decina di ragazzi curiosi.
Mi tese la mano, e io l’afferrai, troppo timida per parlare e troppo sconvolta per capire. Mi accompagnò fuori dalla scuola, verso un parco lì vicino.
A un certo punto si fermò. Mi fermai. Aprii la bocca, come per parlare, pur non avendo niente da dire. «Ssst» mi zittì. Mi tremavano le mani, il cuore voleva uscirmi dal petto. Mi accarezzò la guancia, scostandomi una ciocca di capelli dall’occhio, e mi baciò. Lo vidi chiudere gli occhi, vidi il suo viso avvicinarsi al mio. Ero spaventata. Terrorizzata. Incredula. Ero il mare in tempesta. Chiusi gli occhi, mi lasciai cullare dalle onde, e le sue labbra toccarono le mie. Sapeva di cioccolato e latte, sapeva della sua casa. Buonissimo, perfetto.
Ma io? Ero stata all’altezza? Si era accorto che era il mio primo bacio? E se non avessi baciato bene? Indietreggiai. Lui vide le lacrime che ancora brillavano sui miei occhi e mi abbracciò. Mi strinse, io ero una bambola inerme tra le sue braccia, ero impotente, stanca, e felice.
Ero felice.
Vide passare l’autobus e si mise a rincorrerlo, ridendo, urlando. Risi anch’io, e urlai il suo nome.
Arrivata a casa mi lavai, poi presi una maglia colorata e una felpa azzurra dall’armadio. Basta nero.

La mattina dopo vidi tutti i miei compagni ammassati attorno alla lavagna. “Ieri ho perso il pullman. Oggi vieni alle 5 in stazione, se vuoi. -L”. Io feci finta di niente, e attesi con impazienza la campanella, ma uscita da scuola non lo vidi.
Andai a casa, cantando, e aprii l’armadio. Provai centinaia di abbinamenti, infine optai per una canotta e una maglia extra-large sopra a dei leggins neri. Chissà se anche lui stava scegliendo la felpa adatta, o se aveva cambiato idea e mi avrebbe dato buca.
Alle 4.30 uscii, piena di aspettative e di preoccupazioni, dicendo a mia madre che sarei andata a casa di una mia amica e che ci sarei rimasta fino a sera. Presi un pullman e arrivai in stazione.
Entrai, arrivai al binario 1 e vidi Lorenzo seduto su una panchina. Si era messo la sua felpa grigia, con il cappuccio bianco, e aveva portato il suo zaino verde che ogni mattina ero solita cercare tra la folla. Mi salutò, e io risposi con un cenno del capo. Lo raggiunsi e mi sedetti sull’altro lato della panca, in bilico sul bordo. Guardai gli orari, da quel binario non sarebbe passato un treno prima di mezz’ora.
A un certo punto sentii la sua spalla sfiorare la mia. Mi allontanai ancora di piú. Poi il suo fianco contro il mio, il suo braccio sulle mie spalle, stavolta piú insistente. Ebbi paura di non essere abbastanza, di non sapergli dare quello che voleva. Invece si limitò a stare lì zitto, io zitta. Era incredibile come riuscisse a superare l’imbarazzo di un silenzio, come si limitasse a osservarmi, a concedermi tutto il tempo necessario per sentirmi a mio agio. Appoggiai la testa sulla sua spalla.
«Senti Chiara» esordì, facendomi trasalire «Posso avere un altro bacio?». Lo guardai. Sorrisi. Chiusi gli occhi e cercai di non aver paura. Stavolta fu un bacio di quelli veri, le nostre labbra non si erano solo sfiorate.
Il rumore di un treno in lontananza rovinò la magia. «È il nostro» sussurrò.
Lo seguii sul treno e per tutto il viaggio parlammo. Io imparai a non essere spaventata da lui, lui imparò a essere dolce, ad accompagnarmi con cautela a scoprire questo mondo strano dell’amore.
Arrivammo verso le 6.30, dopo circa un’ora di viaggio. Io non avevo idea di dove fossimo. Lui tirò fuori dalla tasca un fazzoletto e con tono scherzoso mi ordinò di bendarmi. «Altre stranezze?» Risposi. «Non credi che io ne abbia viste, già abbastanza, in questi giorni?» «È l’ultima, promesso» e mi coprì gli occhi. Mi prese in spalletta e iniziò a camminare.
Sentii rumore di onde e di gabbiani: mi aveva portata al mare.
Ad un tratto mi lanciò. Per la brevissima durata del mio volo provai troppe emozioni: rabbia, stupore, paura, tristezza, ansia… E poi sentii l’acqua. L’impatto non era stato piacevole, ma trovai la voglia di togliermi la benda e urlare il suo nome. Lui iniziò a ridere, e io a rincorrerlo e a schizzarlo. Giocammo come bambini sulla spiaggia.
Stanchi di bagnarci, ci sedemmo e Lorenzo tirò fuori dallo zaino una coperta, dei vestiti asciutti e due panini e guardammo il tramonto insieme.
«Ti amo» lo sentii sussurrare quando il sole era ormai immerso completamente nel mare. «Avevi detto basta stranezze» gli dissi incredula. Mi zittì con un bacio.
«Ti amo anche io» dissi infine.

miglior-cuffie-2014-1030x615

 

About Lino Arcoraci

vedi anche:

Guardiamo insieme le stelle..

Vieni qui amore mio, guardiamo insieme le stelle sussurrandoci parole dolci fino all'alba... E poi sarà il giorno della nostra festa,